novembre 21, 2012

Generatore automatico di editoriali di Eugenio Scalfari

novembre 13, 2012

Due o tre cose che so di lei


Ho ascoltato Giuseppe Tornatore, un bravo regista, dicono che si farà, al FilmFestival di Taormina nel 2008. Ci raccontò che ogni volta che vede una persona crea con l’immaginazione una storia per lei: chi è, dove va, con chi sta e perché, se avrà pagato o no il fiorino che le spetta. Bellissimo, pensavo, lo faccio sempre anch’io. E adesso ho preso lo stesso vizio partendo dai profili di Fb. Ecco qua, allora, le due o tre cose che so di lei.

Le piacciono il blu, l’arancione, la seta e il cotone,

i bastoncini di cioccolato e lo zucchero filato, gli aghi di pino e il cielo stellato.

E i capelli mossi, i gomitoli rossi, guidare sui fossi, gli alberi spogli e il rumore dei fogli,
il vento che soffia dietro le spalle e dalla cima guardare a valle.

Le vecchie foto e i fiori di loto e forse un po’ anche il passato remoto, qualche scrittore non proprio noto… ah sì! anche la N che sta per azoto.

Le farfalle più colorate, i racconti con le fate, la passata di verdure e certe notti con certe paure.

Le piacciono un botto i lampioni in cortile, i vecchi dischi di vinile, lo sbattitore per la panna montata, 
lo zucchero a velo sopra il pandoro, gli occhi bendati, la caccia al tesoro.

La frutta fresca, l’albicocca e la pesca, Bacardi Lime, Sex Crimes (ma solo il primo), Time per la copertina, gli occhioni dolci di una bambina.

Stormi di uccelli, cere e acquerelli, una fogliolina in mezzo ai capelli.

Il barbecue, “non ne voglio più!”, gli aperitivi e le festicciole, le sale ricevimenti, il sindaco Renzi, le spiagge bianche, il sombrero gigante, l’imponenza dell’elefante.

Le piace se l’acqua le bagna i piedi, trine merletti e vecchi rimedi, sotto al piumone quando fa freddo, la tv accesa se sta dormendo. Uscire di casa se c’è bel tempo, il fiordilatte, la Cinquecento, un pranzo leggero, un’occhiata distratta, un poco poco chi si arrabatta e, spero proprio, la gente un po’ matta.

novembre 07, 2012

Grazie a Dio


È come ogni venerdì pomeriggio. La solita storia del tempo che è tiranno e del fine settimana che arriva impietoso. Arriva sempre. Nel sole che batte sulle vetrate della banca niente di consolante, solo l’effetto serra di un agosto troppo caldo.

La signora intanto è seduta in sala da un’ora e mezza. Non si scompone, dieci minuti alla chiusura e lei nemmeno ci pensa a staccare gli occhi dal suo bravo giornale. La vedo di profilo, le gambe una sull’altra. Dalla testa affondata nel giornale certi ricci meravigliosi le cascano sulle spalle. Il naso sottile. Gli zigomi come due promontori sul suo bel viso, scuro ed elegante.

“E allora, ci riproviamo col bonifico?” mi chiede a voce bassa senza schiodarsi dalla sedia. Non ha un filo d’accento siculo.
“Subito signora, ma glielo dicevo, sarà difficile, ormai credo proprio che se ne parlerà lunedì”.
Si alza e mi si avvicina, chissà se si sarà accorta di quanta attenzione ci mettevo nell’osservarla. Certo però dev’esserci abituata, d’altronde è una donna veramente bella.

“Non fa niente, già che ci siamo controlliamo lo stesso”. La guardo di nuovo, così proporzionata, a dispetto dei suoi cinquantadue. Ok, ho appena dato un’occhiata all’età, dove sta il problema?
“D’accordo, signora, ricontrolliamo allora”. Parlo quasi sbuffando, perché tanto lo so che è inutile. Almeno è l’ultima fatica della settimana.

“Ecco signora, come le dicevo… ah no, è appena arrivato”. Glielo dico sorpreso, però tutto sommato nonostante la sua insistenza m’è simpatica e mi fa piacere per lei.
Così mi guarda di rimando e resta zitta un attimo. Non è mica sorpresa, semmai raggiante e fa: “Ecco, vedi, questo è stato l’arcangelo Gabriele!”

E allora di fronte al mio sgomento non può non cominciare una di quelle discussioni stucchevoli sulla religione in cui finiscono sempre per avere tutti torto. Ah ma lei non ci crede dunque, mi fa, non è per non crederci signoramia, ribatto indispettito, è che se fossi lassù con tutto il rispetto penso avrei altro da fare che occuparmi dei bonifici. Eh no, riattacca lei, tenga presente che Dio non si occupa di bonifici ma di me… e insomma si potrebbe continuare all’infinito non fosse che tutt’e due, da persone civili, a un certo punto ci fermiamo e ci sorridiamo e tanti saluti.

Lei finalmente esce col suo passo aggraziato dondolando sui tacchi e io chiudo cassa e mi avvio al mio fine settimana in solitudine fatto di musica di sottofondo e libri beat e vestiti da lavare, scettico un bel po’ circa ’sta storia che i santi risolvano anche le piccole faccende. No perché casomai ci sarebbe anche una pila di roba da stirare di là, rido tra me. Ma la questione mi frulla nella testa, che se lassù avessero davvero questi poteri, mi dico, allora perché non occuparsi di problemi importanti come le guerre e la fame nel mondo, e così pensando mi stendo blasfemo sul letto a quattro di bastoni davanti al mio libro.


La trama non è il massimo, effettivamente c’è davvero di che annoiarsi, ma io non demordo se non altro perché devo arrivarci a domenica, con questo romanzo. Se poi non collabora nemmeno il destino e dopo qualche pagina del secondo capitolo va via anche la luce, non sarà mia la colpa, giusto? Sennonché mentre mi alzo per prendere una candela la corrente elettrica torna, così, all’improvviso, come era sparita.

Epperò aspetta, aspetta un attimo, non è esattamente tutto uguale a prima. Anzi no. Per dire le cose come stanno, qua è cambiato tutto, ma proprio tutto! Non c’è più un filo della polvere che copriva ogni centimetro quadrato della stanza, scrivania armadio comodino in primis, le riviste e i giornali sono ammonticchiati e distinti per testata e il calendario è finalmente aggiornato. E poi cavolo, la pila di vestiti da stirare è sparita. Al suo posto, sopra una sedia che non c’era mai stata, svetta elegantissima una torre composta di maglioni jeans gilet e soprattutto delle camicie, che mai nella storia le mie erano state così perfettamente ripiegate.

Gli occhi strabuzzati manco avessi due abbaglianti puntati in faccia in autostrada, ma non c’è tempo neanche per sconvolgersi. Ora che mi rendo conto, non è affatto tornata la corrente e il raggio di luce al centro della stanza s’espande dall’alto come una specie di occhio di bue, pulviscolo in sospensione e insomma è un film di alieni in piena regola ma niente astronavi né alieni cogl’indici che s’illuminano telefono casa, giusto una voce squillante e giovanile che mi chiama “Ragazzo, ehi, ragazzo!”

E io mi rintano all’angolo della stanza rannicchiato sul mio letto e lui continua sempre più insistente e va avanti così finché non mi decido a rispondere piano una cosa tipo “Sì, mi dica”. E lui a quel punto mi spiazza e se ne esce con un “Ma come mi dica? Intanto dammi del tu che non sono Matusalemme, poi mi dicono che sei tu che mi cercavi oggi, e allora cos’è che volevi sapere? Ma veloce, eh, che qua mi reclamano dappertutto!”
“….”
“Oh ragazzi, ma non è che avete sbagliato persona? A quanto pare questo qua non ha niente da dirmi… siamo sicuri che è lui?” ed è parecchio affannato mentre si lamenta, come uno che va troppo di fretta e lo fermano i vigili per un posto di blocco e vuol spiegare che sì, ha commesso un’infrazione, però cazzo sta perdendo il treno e fategli pure la multa ma lasciatelo andare subito o l’avrà presa per niente.
“Ma con chi sta parlando?”
“Parlavo col mio segretario, amico mio. Comunque ti avevo detto di darmi del tu, mi pare. Angeloooo, ma non è che ci siamo sbagliati?”
Rumore di scartoffie, in lontananza un’altra voce un tantino stridula. Dev’essere Angelo, suppongo. “Ah non lo so, ci ha mandato Gabriele, parla con lui”.
“No no”, biascico lentamente, “sono io, è me che cercate”.
“Alla buon’ora! Su, allora andiamo, dai. Ci vediamo tra dieci minuti, ragazzi, ma niente ritardo che almeno stasera voglio arrivare puntuale a casa, eh! Tu non metterti a bighellonare per l’universo, Angelo, perché stavolta ti licenzio, e lo sai che quando parlo…”

Sotto il riflettore al centro della stanza si materializza allora questo giovane slavato che scapigliato e riccioloso com’è mi ricorda certe statue di Fidia. Alto da sfiorare il lampadario, un naso che divide simmetricamente gli occhi celesti, orecchie che paiono disegnate con l’ellissografo e due fossette identiche sulle guance sorridenti e insomma quando si dice “bello come un dio” non è che si vada molto lontani da questa roba qui.

“Quindi, cos’è che volevi sapere di preciso? Su veloce, hai capito o no che abbiamo dieci minuti?”, mi dice mentre sposta verso di me la sua massa di muscoli perfettamente proporzionati, polpacci e quadricipiti tonici sotto il costume hawaiano e pettorali scolpiti che spuntano dalla canottiera.
“No, è che”, balbetto, “l’immag… ehm ti pensavo diverso”.
“Vecchio e con la barba bianca, no? Dai, l’ho già sentita questa, ma secondo te potendo scegliere, ma va… Troppi quadri, troppe chiese, lo dicevo proprio stamattina ad Angelo, bisogna che facciamo un restyling, poi è successo quel casino col tostapane e ce lo siamo scordati… Ma dunque, torniamo a noi, aspetta un attimo, controlliamo qua il dossier, vediamo cosa avevano scritto i ragazzi. Ah bene, siamo alle solite, un altro che non ci crede”.
“No ma… non è che non ci credo, è che mi domandavo…”
“No dai, fermati qua che non c’è tempo per le giustificazioni e non siamo a scuola. Facciamo tutti gli intellettuali, eh? Ma poi dico io, che ne sapete voi di quant’è difficile fare questo lavoro?”
“Ma tipo Una settimana da Dio?” rispondo finalmente padrone di me stesso. Non mi sta più guardando dritto in faccia, se ne sta assorto nei fogli che si rigira in mano, com’è che l’ha chiamato, dossier?, però non si sta perdendo una parola. E infatti replica subito.
“Non sei per niente originale, ragazzo. Mi fate tutti questa battuta, che poi cos’ha di tanto straordinario quel film, che l’avete visto in così tanti? Lasciamo stare, è inutile che mi metto a fare storia del cinema ora, veniamo a noi piuttosto e vediamo di sbrigarci. Ecco, tu mi domandi com’è possibile che io non faccia niente rispetto alle maledette pesti che affliggono il mondo e io ti rispondo che se potessi fare qualcosa allora sarei io che guido, io che se voglio andare a destra vado a destra e se invece mi scappa di andare a sinistra prendo e cambio strada. Insomma, conosci il libero arbitrio? Senza, avrei inventato un giocattolino magari fantastico, ma che dopo un po’ stufa… come posso spiegartelo? Ecco, hai presente le piste Polistil e le macchinine che sembra che girino e invece fanno sempre la stessa strada? Una cosa del genere”.
“Quindi non siamo tuoi giocattolini?”
“Direi di no, non proprio”, sorride lui e mi guarda come una specie di fratello maggiore che m’avesse appena salvato da una qualche banda di teppistelli.
Rimango perplesso: “ma c’entra qualcosa la faccenda dell’amore con cui ci hai creato?”
“Davvero sentimentale, ragazzo”, cazzeggia lui nella più plastica delle pose, la gamba destra protesa avanti e una mano appoggiata sul mento. Poi smette con la recita e con questa faccia da sognatore melenso che mi prende per il culo, si rifà serio e “solo che io odio queste sdolcinatezze, e se guardo un film con Richard Gere è matematico che mi cascano le palpebre alla prima mezz’ora”.

Ora che attacca pazientemente a chiarire come stanno le cose è preciso spiccicato a Michele, mio cugino più grande di tre anni che d’estate in campagna mi raccontava di quando usciva con le ragazze la sera e io che ne avevo dieci, di anni, lo guardavo con la bava alla bocca. E mi spiega che in sostanza funziona un po’ come a Neverland secondo quel matto di Barrie, che l’isola la vedi solo se ci credi.
E che, grosso modo, se gli si chiede una mano lui fa quel che può, cioè tutto, perché è onnipotente, ma se nessuno glielo chiede, incredibilmente, non può farci nulla.

E a me mi sembra un sogno che sto parlando con Dio, tanto che tiro fuori le mani che ho tenuto tra le gambe per tutto questo tempo e mi strapazzo le guance con un pizzicotto. E in questa notte per metà assurda e per metà magica può succedere persino che sia vero che i pizzicotti svegliano dai sogni.

Infatti suona un cellulare che nel frattempo Lui, ehm, Dio ha tirato fuori da non so dove, ne deduco che forse i pantaloncini funzionano come il gonnellino di Eta Beta, ma lui lo lascia squillare per un po’ e continua a spiegarmi che “così salviamo capre e cavoli, e l’onnipotenza e il libero arbitrio, poi è chiaro che cerco di privilegiare le cose più importanti, ma credimi, è un gran casino anche in cielo, proprio come in terra, chi si raccomanda di qua e chi si raccomanda di là… Ecco, qui c’è proprio una chiamata del genere. Aspetta un secondo.”
“…”
“Ma sì, ma sì Gabriele, l’ho passato il bonifico della signora, è tutto a posto!” Mette una mano davanti al microfono. “Ma quanto rompe, questo! E insomma, dai, devo andare, ora, Angelo mi sta aspettando. Angelo! Angeloooo, ci sei?”.
“Ehi, un momento, ma… e cosa resta di questa conversazione?”
“Aspetta e vedrai. Dai Angelo, che siamo in ritardo e tra un quarto d’ora tocca essere da Claudia Koll. Ma cosa vuole ancora?”.


È buio e mi risveglio, il mio libro è accanto a me aperto a pagina 29 dove l’avevo lasciato e io sono assonnato però ho tutto in mente nitido e preciso che potrei deporre davanti a un giudice con il miglior avvocato della difesa a incalzarmi e verrebbe fuori un racconto coerente dalla prima all’ultima parola, ma intorno a me di tutta la storia non è rimasta nessuna traccia. Il disordine regna sovrano e la polvere è uguale a prima a coprire la scatola dello stereo e le casse, le riviste buttate via come capita e il calendario di nuovo al diciannove giugno.

O almeno è così finché non giro gli occhi e vedo la sedia della mia scrivania rivolta dalla mia parte, e sopra ordinatamente tutte le mie camicie, perfettamente disposte e senza più traccia di pieghe. Perché, è evidente, lo sanno bene anche lassù che l’attività casalinga più antipatica è proprio stirare, e io per questo fine settimana non devo più farlo, posso dirlo?, grazie a Dio.

novembre 05, 2012

Che cos'è la questione morale?

Il video accanto m’è sempre piaciuto un botto per questa storia che unisce uno dei pezzi più belli di Antonello Venditti e una serie di citazioni di Berlinguer che a risentirle oggi mettono certi brividi che metà bastano.


Una di queste (minuto 4.11) è estrapolata dalla celebre intervista di Eugenio Scalfari del 1981, titolo Che cos’è la questione morale?, e dice così: “i partiti hanno occupato lo stato e tutte le istituzioni a partire dal governo, gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali”.

Non c’ero allora e non so se Berlinguer fosse davvero lo stinco di santo che oggi dipingono, ma politicamente qualcosa doveva capirci, se non altro per aver lanciato l’idea del “compromesso storico”, nella speranza, poi disattesa, di tappare la falla in cui si sarebbero infilati i socialisti con tutte le conseguenze nefaste che ne discesero e che, purtroppo, sta pagando la mia generazione.

Ebbene più di trent’anni fa questo stesso Berlinguer, di fronte a un partito che anche e soprattutto nelle sue espressioni locali cominciava a deragliare verso la corruzione, si esprimeva in maniera chiara e netta contro l’occupazione politica e partitica delle cariche pubbliche, contro quei germi che sarebbero sfociati nell’attuale crisi della classe dirigente, ormai probabilmente irreversibile.

Nel 1984 Berlinguer moriva, mentre una nuova generazione s’accingeva a subentrare alla guida del PCI, una generazione che avrebbe avuto il suo esponente di spicco in Massimo D’Alema.

Ogni volta che penso a questa cosa l’inquietudine mi avvolge, ma ancor più mi viene in mente un’altra citazione, ben più amara, da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene”. Magari non c’entra un cazzo, ma al cuore, e ai collegamenti mentali, non si comanda.