dicembre 03, 2015

Il tondo nella banconota

La banconota è bucata. È la prima volta che ne vedo una con un foro così, proprio nel centro, quasi che qualcuno si fosse preso la briga di farcelo. Come se con un'obliteratrice avesse afferrato un pezzo da cinquanta euro e tac!, l'avesse finalmente validato, una bollatura più importante del sigillo della Zecca.

Noto il biglietto mentre sto facendo le mazzette da cento, il mio indice allenato che sfoglia la carta s'accorge immediatamente della mancanza. Allora l'afferro, incurante del casino di gente che, in sala, sta aspettando solo me per la propria operazione bancaria. Studenti universitari, per lo più, oggi è giornata di scadenze e di fronte a me c'è l'inferno con tutti i diavoli. Pazienza, sarà ormai la millesima volta da quando lavoro e questa bestia so come domarla.

Dicevamo di me che afferro il pezzo da cinquanta e lo porto all'altezza della fronte. Ora sventola davanti ai miei occhi, incuriositi dal cerchio che, nella mappa sul retro, s'è mangiato l'Irlanda, la Gran Bretagna e anche il nord della Francia, misteriosa opera di chissà che novello Giotto. Ed è allora, guardando dentro a questo capolavoro d'arte contemporanea un'ultima volta prima di riporre i soldi nella cassa, che torno sul pianeta Terra e la vedo.

È ferma davanti alla mia postazione ma non mostra nessun segno d'insofferenza, piuttosto una certa sorpresa nel trovarsi allo sportello questo tizio che affronta la folla impaziente con una flemma tale; forse si sta solo domandando se dovrebbe farmi notare delicatamente che è ora di smetterla, prima che lo faccia qualcuno armato di mazza.

Le faccio cenno con la testa; puoi avvicinarti, significa il mio gesto, e anche un po' ti chiedo scusa, hai ragione, sono l'unico cassiere al mondo che si emoziona per un tondo dentro alla cartamoneta.

Lei intanto ha i capelli lisci e lunghi, la matita nera sugli occhi e il naso alla francese, il corpo esile racchiuso dentro a una felpa su cui campeggiano i quattro Beatles, gli occhiali da sole sulla testa. Poggia le dita affusolate sul mio tavolo e adesso mi guarda proprio storto e io lo so che sta per dirmi qualcosa a cui, da come mi vergogno per averle fatto perdere il suo tempo certo prezioso, non avrò mai il coraggio di rispondere. E infatti non la guardo nemmeno, mentre mi dice, e in realtà il tono è abbastanza dolce, "ma fai sempre così?". Invece cerco di sbrigarmi velocissimo, prendo il bollettino, lo taglio timbro firmo, glielo do indietro, le do il resto, no aspetta, i cinquanta euro bucati no, le dico ridendo, ma è un riso isterico.
"Abbiamo già finito? Così? Non devo firmare da nessuna parte?"

Io che prendo un foglio bianco e glielo metto sotto le dita lunghe e meravigliose e che le rispondo "se vuoi puoi lasciare un autografo qui", lei che mi guarda e che si apre in un sorriso con tutti e trentadue i denti bianchissimi, che prende la ricevuta, si alza, va via. Poi torna indietro: "ti posso lasciare il mio numero?"

settembre 17, 2015

Lui e lei

E insomma ‘sto ragazzo, tra i sedici e i vent'anni, passeggia bel bello trascinando i piedi per via Principe di Belmonte e oggi è così fico che se ne frega del sole magnifico che ancora alle sette di sera riscalda il viale, e se ne frega delle foglie gialle che cascano a terra dagli alberi, e se ne frega del vento che le muove sull'asfalto.

E solo che lì c'è pure lei, appoggiata a una quercia che tenta di riposarsi, le buste della spesa per terra accanto, da cui non s'è manco accorta che cola dell'olio, il sudore di tutti e trentaquattro i gradi che le imperla la fronte, lo smog che a tirar fuori le forbicine dalla borsetta si riesce pure a tagliarlo.

Fin qui potrebbe anche andare tutto bene, se non fosse che 'sta lei mezza stremata, poveraccia, invece di lui non se ne frega affatto. Se lo guarda un po' come si guarderebbe un Fidia dentro al museo, epperò sperando che prima o poi la statua, con tutti i suoi muscoli scolpiti, se ne scenda dal suo piedistallo e corra ad abbracciarti con il vigore di tutti i discoboli del mondo.

Lui, eh lui ne sa a pacchi, caracolla con le mani in tasca a questi jeans che gli stringono le ginocchia e poi s'allargano il giusto alle caviglie, senza degnarla d'uno sguardo semina sciccheria e poi se ne scappa, anche se darei uno a due che di dove andare non ha la più pallida idea.

Passa così, con una faccia da tiraschiaffi che nemmeno James Dean nella scena famosa di Gioventù Bruciata, mentre lei con le buste quantomai improvvide nelle mani e i capelli sempre più sventolanti prova a camminare verso una casa ormai terra promessa, senza nemmeno un Mosé che le apra le acque.

Io li guardo uguale a Elio Germano con Nicole Grimaudo sul materassino nella Pescara operaia di Liberi, sperando che come nel film succeda all'improvviso una cosa piccola e miracolosa, lei che si gira e gli sorride. E riscopro che la saggezza popolare ha sempre ragione e non tutti i mali vengono solo a nuocere.

Il nostro James Dean continua la passerella. Affianca la poveretta sempre più trafelata. Senza voltarsi la sfila proprio mentre a lei quasi viene il torcicollo, questi sacchetti ancora nelle mani che si agitano in modo sempre più inquietante. Ma in quel preciso istante della storia, la Provvidenza scende dalle altezze manifestandosi nella forma più strana che si potesse immaginare.

Già, perché si materializza sotto forma di macchia d’olio cascata da una busta vicino a una quercia, col modello che ci sguiscia sopra e si frantuma i denti contro il tronco, prima di cascare faccia a terra in un momento che è la rivincita di tutti gli sfigati di questo mondo.

Lui si rialza spiccicato uguale a prima, un paio di manate sulle cosce per scuotere via la terra e si riparte. Ma non è tutto lo stesso, no che non lo è, perdio. La ragazza ha un sorriso di sollievo da un orecchio all’altro, l’afa sembra di botto meno opprimente, tra poco fa buio e si vedranno le stelle.