La
banconota è bucata. È la prima volta che ne vedo una con un foro
così, proprio nel centro, quasi che qualcuno si fosse preso la briga
di farcelo. Come se con un'obliteratrice avesse afferrato un pezzo da
cinquanta euro e tac!, l'avesse finalmente validato, una bollatura
più importante del sigillo della Zecca.
Noto
il biglietto mentre sto facendo le mazzette da cento, il mio indice
allenato che sfoglia la carta s'accorge immediatamente della
mancanza. Allora l'afferro, incurante del casino di gente che, in
sala, sta aspettando solo me per la propria operazione bancaria.
Studenti universitari, per lo più, oggi è giornata di scadenze e di
fronte a me c'è l'inferno con tutti i diavoli. Pazienza, sarà ormai
la millesima volta da quando lavoro e questa bestia so come domarla.
Dicevamo
di me che afferro il pezzo da cinquanta e lo porto all'altezza della
fronte. Ora sventola davanti ai miei occhi, incuriositi dal cerchio
che, nella mappa sul retro, s'è mangiato l'Irlanda, la Gran Bretagna
e anche il nord della Francia, misteriosa opera di chissà che
novello Giotto. Ed è allora, guardando dentro a questo capolavoro
d'arte contemporanea un'ultima volta prima di riporre i soldi nella
cassa, che torno sul pianeta Terra e la vedo.
È
ferma davanti alla mia postazione ma non mostra nessun segno
d'insofferenza, piuttosto una certa sorpresa nel trovarsi allo
sportello questo tizio che affronta la folla impaziente con una
flemma tale; forse si sta solo domandando se dovrebbe farmi notare
delicatamente che è ora di smetterla, prima che lo faccia qualcuno
armato di mazza.
Le
faccio cenno con la testa; puoi avvicinarti, significa il mio gesto,
e anche un po' ti chiedo scusa, hai ragione, sono l'unico cassiere al
mondo che si emoziona per un tondo dentro alla cartamoneta.
Lei
intanto ha i capelli lisci e lunghi, la matita nera sugli occhi e il
naso alla francese, il corpo esile racchiuso dentro a una felpa su
cui campeggiano i quattro Beatles, gli occhiali da sole sulla testa.
Poggia le dita affusolate sul mio tavolo e adesso mi guarda proprio
storto e io lo so che sta per dirmi qualcosa a cui, da come mi
vergogno per averle fatto perdere il suo tempo certo prezioso, non
avrò mai il coraggio di rispondere. E infatti non la guardo nemmeno,
mentre mi dice, e in realtà il tono è abbastanza dolce, "ma
fai sempre così?". Invece cerco di sbrigarmi velocissimo,
prendo il bollettino, lo taglio timbro firmo, glielo do indietro, le
do il resto, no aspetta, i cinquanta euro bucati no, le dico ridendo,
ma è un riso isterico.
"Abbiamo
già finito? Così? Non devo firmare da nessuna parte?"
Io
che prendo un foglio bianco e glielo metto sotto le dita lunghe e
meravigliose e che le rispondo "se vuoi puoi lasciare un
autografo qui", lei che mi guarda e che si apre in un sorriso
con tutti e trentadue i denti bianchissimi, che prende la ricevuta,
si alza, va via. Poi torna indietro: "ti posso lasciare il mio
numero?"
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