Che quando si dice degli uffici grigi, e bigi, e invece a Catania
nel cortile CGIL l’edera va rampicando sui muri più alti e a metà giugno è
tutto un trionfo di foglie verdi e fiori ciclamino dentro uno spiazzo
bellissimo, sicché ci organizzano esposizioni e convegni e serate come quelle
di ieri. Una serata afro.
A entrare si notano subito questi drappi di cerata che dall’alto
piombano giù coi loro colori vivaci, fantasie variopinte di terre lontane. C’è
il pieno di gente, qualcuno se ne sta seduto a sbevacchiare ai tavolini sulla
destra, proprio accanto a un cocktail bar improvvisato all’aperto con tutte i
suoi liquori dalle etichette colorate in bella mostra.
Da quest’altra parte, proprio accanto all’ingresso, una
scrivania è il podere di una matrona con un frigorifero portatile verdognolo,
di quelli che le famiglie palermitane ci si portano al mare l’intero pranzo. Dentro
ci sono una caterva di bottiglie d’acqua minerale riempite di nonsocché, due
robe diverse che potrebbero essere rispettivamente vino rosso e aranciata. Ma chiaramente
non lo sono.
Poco più avanti, il solito banchetto di oggetti curiosi che a
vederli così uno vicino all’altro ti vien sempre voglia di comprarli tutti ma
che poi, quella rara volta che ti decidi a farlo, a casa non ci trovi proprio
una funzione né una postazione che sia capace di farli sembrare di nuovo così attraenti.
Di fronte, una pedana in legno fa da palco per un complesso di
senegalesi in cui il cantante che ha questa voce un po’ rauca, e dietro un
tambureggiare continuo e poi questo strumento che non ho mai visto che si
chiama proprio “chitarra senegalese”, e infine una ragazza che deve saperla
lunga è l’unica bianca del gruppo e strimpella una specie di xilofono.
L’amico Moussa mi spiega che il contenuto delle misteriose
bottiglie è in un caso ginger, che è afrodisiaco e “se te lo bevi stanotte non
dormi” (povero me), nell’altro fiori di ibiscus ed è proprio quello per cui
opto, un sapore dolciastro che alla lunga stufa ma che avrà pure lui una sua
ragione.
L’ibiscus deve evidentemente avere questo potere magico di
sciogliere le membra e piano piano convincerti per forza a seguire il ritmo bongheggiante
a cui già si stanno dimenando tutti, in un tripudio di mani che ondeggiano e di
anche snodabili che paiono staccarsi dal corpo in cui stanno.
Insomma è un seratone in cui tutti s’affratellano nel ballo,
treccine svolazzanti e chignon di ricci, tuniche multicolor e amazzoni nere avvenenti
da spavento, e l’erotismo nell’aria si taglia a fette e le ragazze sono tutte
un feromone mentre un ballerino dà il meglio di sé giocando a spogliarsi di
quel che ha addosso.
Non lo so, ma a me pare una di quelle cose che servono più
di tante chiacchiere barbose sul multiculturalismo di cui mi ricordo all’università,
perché alla fine non c’è niente di più rivelatore del banale scoprire che tutti
finiscono per divertirsi nello stesso modo facendo un po’ di rumore e
ballandoci su.
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