Fabio Fazio non mi piace, come tanti lo trovo viscido e mai
veramente incisivo, per codardia e non per incapacità. Epperò le persone che
hanno qualcosa da dire, DAVVERO qualcosa da dire, vanno quasi tutte da lui e
allora com’è come non è le sue trasmissioni mi trovo a seguirle tutti.
A proposito di gente che sa di che parlare, in questo
programma l’altro padrone di casa si chiama Roberto Saviano e ha un’idea
rivoluzionaria nella televisione dei tempi “stringatissimi” (aaah!): lanciarsi
in monologhi che per di più no, non abbisognano del carisma di Mr. Celentano. No,
lui pretende che realmente si ascoltino i contenuti. Roba da matti.
Ricordo che l’anno passato circa questa faccenda e Vieniviaconme ebbi una discussione su Fb
con della gente che si seccava di starlo a sentire e conclusi con un “Ve lo
meritate Beppe Grillo!”. Esageravo, certo, uno di loro mi escluse addirittura
dai suoi contatti, fatto sta che oggi Grillo ha almeno il 7% e io penso ancora
che l’antidoto a chi la vince con le battute e le boutades può essere solo riflettere, lavorare su se stessi,
approfondire, migliorarsi.
Tanto più che Quello
che (non) ho è un programma fatto notevolmente meglio del suo predecessore dalle
liste insulse. Si articola così: ciascuno degli ospiti sceglie la parola che più
sente sua e, nel presentarcela, ci descrive a partire da essa la propria
visione del mondo. Certo, si incappa nella solita rassegna di membri della
ditta Che tempo che fa e dintorni,
vuoi la Littizzetto che ci illustra il pensoso stato in cui versa la satira televisiva
italiana (se è lei la migliore, figuriamoci il resto), vuoi Gramellini Travaglio
Lerner che la buttano in politica come ce ne fosse ancora bisogno. Più
gradevole Paolo Rossi che parla di finanza, e con lui Erri De Luca, che pure
non mi è propriamente simpatico ma che almeno si distingue per originalità.
C’è però anche tutto il resto, personaggi in parte
sconosciuti al grande pubblico e forse proprio per questo deliziano. Assistiamo
così al monologo di Lila Azam Zanganeh (vuoi conoscere la differenza tra
avvenenza e bellezza? Guardala un po’), ma anche al giornalista Ermanno Rea,
che descrive la forza dirompente di chi sa sognare l’impossibile. O ancora l'Yvan
Sagnet di reportiana memoria, per me senza dubbio un VERO eroe dei nostri tempi
con la sua lotta per i diritti degli immigrati.
Lo spettacolo è perciò godibile, nella misura in cui non
immaginiamo il suo spiegarmi come un filo da un gomitolo, ma come una raggiera
che fa capo a un unico centro dal quale si distanzia variabilmente, ora
raggiungendo picchi (come la lettura di Francesca Inaudi) e ora calando
nuovamente verso la realtà. Ma è toccante pure la dedica di Pierfrancesco Favino alla nascitura figlioletta, se poi non arrivasse quel Fazio che ammicca al
pubblico ricordandogli che termini come “apericena” o “movida” non si possono
sentire (il gran paraculo!).
Una raggiera, un centro. E il centro, sperando di non
rimetterci altre amicizie su Fb, sono i monologhi di Roberto Saviano. Due, per
la precisione. Il primo è utilissimo e ci racconta con il tono accorato dello
scrittore il massacro di Beslan. Ecco, dimenticavo, la forza dei monologhi di Saviano
sta secondo me nella sua capacità di farci empatizzare con i “deboli” della
storia che di volta in volta racconta.
Il discorso più toccante, però, è per me il primo, dedicato
al lavoro e alla crisi, ai suicidi e a come essi siano anche legati allo
sciacallaggio della camorra che vi specula con finanziarie come l’Aspide s.r.l.
Da brividi, poi, la conclusione che cita Calamandrei e una piccola e vecchia storia
della Sicilia, di quando ancora sapevamo essere grandi.
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