Alle undici d’un martedì della
fine di aprile giù in cortile l’estate è un’ipotesi concreta che prende forma
nei gelsomini fioriti e nell’asciugarsi della pozzanghera al centro, ormai
eterna. Il bastardino Flicky aveva avuto modo di notarlo nel pomeriggio quando
Antonio l’aveva portato a far pipì, e perciò adesso se ne sta tranquillo nel
suo angolino. Il suo muso inequivocabilmente triste fissa i quattro che si
rincoglioniscono davanti a un telefilm qualsiasi, ignari della primavera che
fuori torna a pulsare di vita.
Collegata al piano di sotto da
una scala interna, la mansarda è alta abbastanza da poterci stare anche in
piedi. Certo, Giampiero e i suoi due metri e tre di stazza non c’entrano
comunque. Ma tanto, anche quando non stanno mangiando stretti intorno al tavolino
al centro della stanza, i ragazzi finiscono sempre per stare tutti seduti sui
due divani vecchi e comodissimi, a guardare il megatv di Antonio fumando
qualche canna che il tempo intanto passa.
Attribuirsi come nome ”I
migliori di via Mazzini” rivela quantomeno una bella dose di autoironia a chi
conosce la toponomastica (via Mazzini è una stradina laterale con un unico
palazzo). Stasera il gruppo non è ancora al completo, ma chi deve ancora
arrivare sta già suonando il campanello e così Antonio si alza per aprire, mentre
le orecchie di Flicky si drizzano come antenne.
“E falla girare, cazzo”, sbotta
Mirko. Una smorfia tradisce Caterina, accennando di stupore e di delusione nei
suoi occhi neri neri. Non si sarebbe mai abituata. E dire che in mezzo agli
uomini c’è cresciuta, che per imparare l’inglese ha vissuto da sola a Londra con
due ragazzi, con gli annessi e connessi di amici che arrivavano a ogni ora del
giorno e della notte e allora adesso sa di bagni con le porte aperte e
conversazioni da osteria, briscole in cinque e gare di rutti e pasta aglio
oglio e peperoncino alle quattro di mattina quasi sbronzi.
Però no, non s’abituerà mai a quel
fratello così diverso quando lo vede in mezzo ai suoi amici, ai loro amici,
deciso e trascinante come a casa nemmeno sognerebbe, lui che continua a tenere
la testa sul piatto se mamma a tavola lo rimprovera. Non s’abituerà mai e
magari la colpa è di quei capelli biondi, si ritrova a pensare ogni tanto, che
non li ha tagliati e ancora oggi gli scendono sulle spalle, ma forse c’entrerà
pure l’espressione angelica che gli album di famiglia raccontano con foto in
bianco e nero, perché così piacevano al loro papà. Chissà che direbbe oggi se potesse
vedere Mirko nella sua camicia di felpa trasandata e con la barba di un marinaio
in solitaria nell’oceano.
“E così l’hai mollato
finalmente”, la voce di Monica arriva squillante dal corridoio e sveglia lei e
l’intera casa da un torpore avvolgente e persino piacevole. L’altro assente, si
capisce, non arriverà.
E Caterina allora respira un
attimo sulla sedia, scavalla le sue gambe bellissime avvolte in un paio di
jeans neri e tac, all’improvviso tira fuori gli artigli che nasconde benissimo
da qualche parte dietro il suo nasino, il cappello le vola dalla testa e lei spara
“E tu farti i cazzi tuoi invece?”
Giampiero s’è alzato in piedi a
prendersi un bicchiere d’acqua e se ne sta accanto al frigorifero con la testa
piegata per non sbatterla al solaio. “Dai, ma ti pare il caso?”, risponde,
ricordandoci la verità scientifica ormai riconosciuta che l’omone in una
comitiva di ragazzi sia anche il tipo più pacifico.
“Zitto tu che stiamo parlando,
Gargamella”. Zitto tu che stiamo parlando. A occhio e croce, il settantacinque
per cento delle conversazioni tra Monica e Giampiero consistevano in
quest’unica frase che lei, Monica la vamp, rivolge a lui, Gargamella in un
branco di Puffi a cui l’originale ha però tolto tutta la cattiveria.
Monica insiste senza pietà. “E
insomma, come mai i piccioncini si sono lasciati?”
“Ehi Mirko, non è tutto tuo il
fumo! Per pagare abbiamo diviso o sono io che ricordo male?” Dev’essere davvero
un evento se Antonio prende la parola. I suoi amici lo chiamano “Unlitrodivino!”, proprio così, tutto
unito e tutto d’un fiato, perché è capace di tacere per ore, ma se durante una
cena al ristorante interviene puoi star certo che è ora di chiedere da bere.
Mirko è gesti misurati di attore
consumato. Non è tanto il fatto che sia così dannatamente affascinante, è che purtroppo
per gli altri lo sa anche lui. Si china, raccoglie il cappello e lo passa alla
sorella, poi lentamente esclama un “Tutta tua!” a voce bassa con un tono gelido
che mortificherebbe chiunque.
Non Antonio. Certo, a dirla
tutta c’e forse qualcos’altro in quell’intervento che interrompeva un terzo
grado, ma chi lo confesserebbe mai? Certo non lui, tanto geloso nel custodire i
suoi pensieri. Raccoglie la canna senza guardarlo, si volta e ne respira
avidamente. Questa è davvero un’altra storia.
Monica intanto non s’impiccia
più ma nella sua faccia aggressiva lo vedi che non demorde, che vorrebbe sapere
per filo e per segno di Caterina e di Raffaele che sembrano la coppia più bella
del mondo di Celentano, e lei non riesce a spiegarsi una tutto sommato avvenente
come Kate come faccia a stare con uno sfigato del genere, capace di studiare
sedici ore al giorno, NERD del cazzo dagli occhiali a fondo di bottiglia e la peluria
sul collo. Sta pensando proprio una cosa del genere, Monicuccia bella, quando
si sente schioccare dietro. “Ma non ti stanchi mai di questa cretinata?” civetta
voltandosi mentre ride sguaiata.
Ma Mirko è fatto così. Lui non
chiede, pretende. Per chiamare a sé la sua ragazza (“trombamica”, aveva
precisato a sua sorella, “solo trombamica”) basta che le tiri il filo del tanga
da sopra i jeans e lei arriverà, “puoi star certo che arriverà, Giampiero,
perché le femmine sono tutti uguali”.
Mirko e Caterina. Mirko e
Caterina che sono fratelli e sono così diversi. Che si vogliono bene e che
camminano a fianco, ma come rette parallele. Lui ha un aspetto così sicuro da
non aver ancora capito che cazzo vuol fare nella vita e studia giurisprudenza
solo perché è la facoltà più vicina a casa sua, lei con un viso così dolce sembra
voler scoppiare a piangere da un momento all’altro, lei che a venticinque anni s’è
appena laureata in medicina e sta pensando di mollare la specialistica e
volarsene in Tanzania per Médecins Sans Frontières.
E questo è anche tutto ciò che Monica
non sa. Non lo sa perché per fortuna stanotte Mirko non l’aveva portata a
dormire a casa sua, e allora non l’ha sentita piangere raccontando a sua madre
che lei e Raf, dopo dieci anni, si sono lasciati. “Non lo so se lasciati per
sempre, mamma, questo non lo so. Però io devo decidere cosa fare, e non lo so
se voglio restare qua tutta la vita e fare il medico solo perché l’hanno fatto
prima il nonno e poi papà, e diventare primario in un ospedale e fare un sacco
di soldi e averci un paio di figli che faranno la stessa cosa. E mi dispiace un
sacco per Raf perché immagino come l’avrà presa, però io ho bisogno di pensarci
con calma”.
E Mirko invece sì, c’era e l’ha
sentita dal suo dormiveglia e quando in cucina si sono spente le luci è rimasto
sveglio. E ha pensato a quanto faccia schifo questa faccenda, che sua sorella
non possa stare con Raffaele e loro si vogliono bene davvero, e invece lui
forse Monica avrebbe finito per sposarsela, magari tra una decina d’anni e
perché nessuno dei due avrebbe trovato di meglio e a un certo punto passare la
serata ad annoiarsi insieme davanti a un technicolor sarebbe sembrata la cosa
più di buon senso da fare.
All’una, come una serata
qualsiasi, Caterina si alzerà dal divano e se ne andrà, e mentre tornerà a casa
sullo scooter penserà intensamente anche lei a tutta la storia, non farà altro
che pensarci, cristo, e se dietro di sé andrà lasciando qualche lacrima farà
sempre in tempo a dare la colpa al freddo.
Anche Mirko, vedendola alzarsi,
ci penserà con la sua brava canna in mano mentre sullo schermo piove
sull’impermeabile del protagonista, fingendo di non accorgersi di Monica che lo
fissa, e in maniera piuttosto esplicita, sotto lo sguardo severo di Flicky. Non
ne ha voglia e d’altronde non è proprio il caso, stasera. Del resto hanno tutta
la vita davanti, e si preannuncia piuttosto lunga.
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