Metti una domenica qualsiasi di giugno 1998, a Calatafimi il
tepore è quello delle prime sere d’estate ma l’umidità la vedi bene,
appiccicata com’è sui tetti delle macchine e sui trifogli delle aiuole in via
Piersanti Mattarella. Le scuole sono finite qualche giorno prima e anche questo
lo vedi, bastano le smorfie di liberazione sulle facce degli adolescenti come
lui. La radio intanto trasmette gli Oasis,
un pezzo maledettamente triste in cui Liam ha capito che lei se ne andrà (in
realtà si riferisce alla morte ma a 15 anni le canzoni parlano tutte d’amore) e
così a un certo punto una voce incredula tira fuori la domanda che prima o poi
si fanno tutti: “Me and you, what’s going on?”
Lui ha addosso l’ultimo paio di jeans a zampa che avrà mai
comprato, ed è talmente carico di energia che persino il suo scooter corre più
forte per arrivare da lei. Perciò che senso ha, mentre percorre il ponte per
raggiungerla, che il freddo trapassi il tessuto del suo maglione più
adolescenziale, quello con lo scollo a v che accoppia senza rimedio alla
maglietta bianca con la collanina bene in vista. Per intenderci, sono i tempi
di Dawson’s Creek, e senza sembrare
nostalgico li puoi dire in ogni caso meglio che quelli di X Factor.
Lei se ne sta ad aspettarlo dentro un bel giubbotto color
sabbia, appoggiata al muro della palestra con le braccia conserte. È lì un po’
controvoglia, non le andava proprio di seguire i suoi genitori e la loro
stupida pretesa di vedere uno spettacolo di ballo nel paesucolo vicino, duemila
volte meglio uscire coi suoi amici, che ne sai, magari ci scappava anche di
scambiare due parole con quel tronco di Manuel, il fratello di Lucia. Però già
che c’è, meglio un’oretta con un compagno di scuola, piuttosto che restarsene dentro
a guardare quei ballerini mediocri.
Lei è dietro e lui alla guida, che le mostra il suo paese
come una guida turistica non potrebbe approvare, salta le chiese e invece che bella
questa piazza con le palme al centro, dimentica la casa di Garibaldi e quel
muretto è dove ci raduniamo la sera. Calatafimi si fa ancora più piccola e
accogliente e si lascia gustare per intero dalla sella di un motorino
cinquanta. Poi scendono nello spiazzo della Chiesa Madre e guarda che panorama
da quassù e allora lei non lo sa perché, però gli molla un bacio sulle labbra di
quelli da film. A stampo, si capisce, ma da finirci mezzo morto lo stesso.
Lui riparte ancora in trance e muto come una guida turistica
non dovrebbe, ma d’altra parte, anche ammesso di voler parlare, nemmeno
saprebbe dove andarla a prendere, la voce. Lei è sempre dietro di lui ed è una
specie di sogno da cui presto, però, gli toccherà svegliarsi. La scuola è
finita e trenta chilometri a quindici anni e senza una macchina sono molto più
lunghi, lo sa che quando si ritroveranno in lei quel bacio di un secondo sarà
già bello che sepolto sotto le storie di un’estate intera.
Non gli importa se sarebbe inutile lo stesso, ma in quel
momento anche a lui, deciso come Liam nel ritornello, verrebbe tanto da cantare
“‘Don’t go away… ‘cause I need
more time, yes I need more time just to make things right”. Ma ormai rimane
solo da tornare a casa. E magari, scendendo per via Piersanti Mattarella,
fermarsi trenta secondi a contemplare la poesia dei trifogli coperti di brina,
giusto dieci anni prima che i fotografi comincino a ficcare i loro obiettivi
anche lì per catturarla, come un canarino che stringi forte tra le mani.
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