aprile 15, 2012

Una ragazza

Sola per strada
col suo sorriso
e chi può farle del male
se ci saranno mille ragazze
che la vorranno imitare
Edoardo Bennato – Una ragazza
  
La ragazza scese dal letto a passi lenti e si appoggiò al vetro della finestra ad ammirare lo spettacolo della neve che cadeva fitta fitta.
Si era svegliata piano come le principesse delle favole, aprendo gradualmente contemporaneamente irrimediabilmente gli occhi e le orecchie. Man mano che si era allargato il piccolo spiraglio da cui le pupille si affacciavano il suono della televisione si era fatto sempre più riconoscibile, diventando dapprima linguaggio poi dialogo. Fu proprio quando riconobbe nelle voci dei personaggi la storia del Piccolo Lord che si allontanò suo malgrado dalla leggerezza dell’onirismo e piombò i piedi per terra. In tutti i sensi.
Fondendo la delusione con la rabbia i suoi pensieri si susseguirono in un rapido processo che riportava a galla la coscienza: ah fanno ’sto coso perché oggi è natale oh ma perché c’è la televisione accesa se sono sola cazzo l’avrò lasciata stanotte quanto avevo bevuto ieri ehi ma come mai non sto male sarà sicuramente perché ho vomitato.
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 La ragazza fissò lo sguardo sul cane dei vicini che aveva scrutato la neve con curiosità e ora ci si buttava a capofitto e un po’ lo invidiò.
La aspettava un Natale diverso quest’anno che i suoi genitori erano partiti per il Canada a trovare quei parenti lontani che tutti i siciliani hanno e lei aveva preso la scusa degli esami a gennaio per non andare. Balle. Di studiare non aveva proprio voglia e nemmeno di fare nient'altro, per quello la sera prima era andata alla festa. Lucia le aveva telefonato verso le nove e mezza e l’aveva informata che stava passando a prenderla, lei non aveva opposto la minima resistenza. Aveva visto nello specchio il nero della minigonna a pieghe e delle calze più vivace nei colori della maglietta appena aperta nella scollatura e si era piaciuta. Aveva spento tutte le luci ed era andata via.
Sebbene la resaca che i ragazzi le avevano pronosticato il giorno prima non si stesse manifestando la gola le pizzicava appena. L’atmosfera intorno le pareva ovattata. Mancava l’allegria di una casa a Natale a sfondare la coltre di freddo che l’evento straordinario della neve portava con sé. Guardava il giardino coperto di bianco e si immaginò per un momento piccola lanciare palle di neve alla mamma. Il vetro appannato dal calore del suo fiato ruppe un’altra volta il piccolo miracolo del sogno e la riportò d’improvviso alla coscienza, chiuse la tenda e andò in bagno.
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 La ragazza stavolta vide nello specchio la faccia sporca di mascara e non riuscì a reprimere il senso di disgusto che affiorava da una qualche profondità. Certo proveniva dall’anfratto dove la sua anima aveva trovato riparo.
La Seicento di Lucia era infestata dall’odore del profumo che odiava, aveva cercato di concentrare la sua attenzione su qualcos’altro. Aveva osservato con minuzia le scarpe lucide che brillavano ad ogni contatto con la luce dei lampioni che filtrava dai finestrini: se fosse stata un maschio… Niente tacchi cerette trucchi fischi-per-la-strada paura-ad-accettare-un-passaggio-ma-anche-ad-andare-in-giro-da-sola. Lucia aveva detto fanno sta festa alla vigilia di natale perché tanto sono tutti erasmus e non devono festeggiare in famiglia poi tu devi dimenticare marco magari ci divertiamo, ma a lei non cambiava niente perché tanto non c’era ragione perché potesse fregargliene qualcosa di ’sta festa. L’attaccapanni era pieno di cappotti e si perse a pensare a quante nazioni potevano starci sopra, in due minuti aveva bevuto sei bicchieri di sangria.
Quando ebbe finito di vestirsi scorse sul comodino uno strano scintillio. La luce batteva sulla farfalla colorata. Mise il fermaglio e andò a fare colazione al bar in via Vittorio Emanuele.
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 La ragazza avvertì le voci dei passanti che fuori scampanellavano allegre, scese le scale a due a due e si precipitò in strada.
Aveva ormai smesso di nevicare e le famiglie si erano riversate nel corso principale a festeggiare l’evento. I bambini inciampavano senza farsi male, nella piazza il duomo maestoso pareva guardarli con tenerezza e condiscendenza. Le nuvole si spostavano per lasciare spazio al sole che illuminasse lui lo spettacolo, la memoria della ragazza si aprì e ne riemersero tutte le scene della notte precedente.
Ricordò Lucia che le diceva di volersene andare, lei che prendeva il cappotto e si preparava ad uscire, poi… Poi si trovava davanti Marco insieme ad Imma, la danese biondissima a cui doveva almeno trenta centimetri. Ora la scena si faceva molto più frenetica. Lei lasciava cadere per terra il cappotto correva verso il tavolo afferrava l’insalatiera con la sangria e gliela svuotava addosso era questa la pausa, stronzo? poi correva fuori nel freddo e si appoggiava al parabrezza della macchina di Lucia mescolando alla pioggia le sue lacrime. Mentre vedeva Lucia arrivare col cappotto dimenticato dentro fermò i ricordi.
Sentì in bocca la consistenza pastosa del latte e poi ci buttò dentro i biscotti appoggiati sul bancone, le loro palline di cioccolato lasciavano sciogliendosi un sapore dolce. Schioccò la lingua sulle labbra, un moto di soddisfazione la scosse dentro e la riempì di energia, la sua risata spontanea trillò nel bar.
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Elena aprì la tenda con delicatezza e la fece tintinnare come un gatto che ci passa attraverso, uscì un’altra volta fuori dove il sole di Natale cominciava a scaldare l’atmosfera e respirò il tepore del mondo a piene boccate, le orme dei suoi passi nella neve si succedevano diritte.

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